L'ultimo cartografo d'Italia

Emilio Delfino è navigatore, disegnatore, pittore, poeta, stampatore e cartografo, collezionista di grande sensibilità, persona in cui la competenza e la passione si abbinano a grandi doti di umanità e simpatia. Le sue descrizioni di terre, mari, viaggi, sempre corredate da attentissimi riferimenti storici e letterari, appartengono a una tradizione scientifica e artistica che viene dalle radici stesse della nostra cultura e che, grazie anche a personalità della sua levatura, è destinata a non interrompersi.

Emilio Delfino non si considera un artista e neanche grafico o illustratore, ma piuttosto un artigiano, nel senso alto, umanistico, della parola. Uno spirito rinascimentale, un personaggio eclettico che nella nostra era di iperspecializzazione si ostina a non separare arte e scienza, competenza tecnica e piacere dell’avventura, creatività e manualità. Non si limita a disegnare le sue carte e i suoi portolani: esplora e naviga di persona nel corso di lunghi viaggi, e dipinge in bellissimi quaderni di schizzi; compie meticolose ricerche cartografiche e iconografiche nella sua collezione di 3.000 carte italiane, inglesi, francesi raccolte in vent’anni dalle bancarelle ai cantieri di demolizione delle navi; scrive i testi studiando tra i suoi 5.000 volumi antichi di poesia, storia, geografia, arte; traccia il disegno dal progetto all’ultima lettera; segue i processi di stampa e spesso produce in proprio, magari su carta antica attraverso processi alchimistici.

L'intera sua produzione di carte nautiche, portolani e diari di viaggio è conservata nei più celebri musei navali d'Europa: Musèe de la Marine di Parigi, lo Scheepvaart Museum di Amsterdam, il Marinha di Lisbona, il Museo della Marina di Barcellona. In Italia presso il Museo di Genova Pegli, l'Istituto Geografico Militare di Firenze, l'Istituto Idrografico Marino di Genova e nelle maggiori Biblioteche europee e americane, come la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, la Braidense di Milano, la Civica Raccolta di Stampe Bertarelli di Milano, la Trivulziana di Milano, la British Library di Londra, la New York Public Library.

Attualità della problematica cartografica nautica

Vi è una sorta di correlazione tra il concetto di storia tramandataci da Polibio e quello di geografia di Tolomeo: per entrambi può valere il principio che vuole lo storico testimone diretto degli eventi e dei luoghi descritti. Dalla sua obiettività deriva conseguentemente la sua credibilità. È mia opinione che non esista frattura tra l’antico e il moderno. Se mai uno scuro intervallo di alcuni secoli durante i quali le conoscenze degli antichi rimasero congelate durante tutto il Medioevo in attesa della riscoperta umanistica. Gli studi scientifici del Rinascimento con le coeve invenzioni di una appropriata strumentazione e la spinta dei viaggi di scoperta ed esplorazione, gettarono le basi per le nuove proiezioni cartografiche sempre in lotta per risolvere il problema del riportare su un piano una superficie sferica. La proiezione cilindrica di Mercatore (seconda metà del 1500) risulterà più convincente tanto da venire universalmente adottata principalmente per la cartografia nautica moderna che tuttavia rimase paradossalmente fedele fino agli inizi del 1600 a un tipo di cartografia che aveva bisogno per la sua rappresentazione grafica di due soli elementi: distanza e direzione.  È il caso delle ben note carte alla bussola, impropriamente ancora oggi denominate Portolani, apparse inaspettatamente nel 1200, costruite sul caratteristico reticolo dei rombi (direzioni) dei venti, la cui particolare funzione balza evidente nel rapporto con le carte moderne.

Facciamo tuttavia un passo indietro per una breve analisi dell’affascinante inizio della problematica cartografica. L’opera che fece da tramite tra la geografia greca e quella moderna, costituendo il punto di partenza per una ripresa dell’attività geografica durante il Rinascimento, fu la Guida Geografica di Tolomeo, scritta intorno al 150 a. C. Compito della sua opera era quello di riportare su carta (dià graphés) il mondo conosciuto non nel senso di descrivere ma di disegnare. Il geografo moderno ha diviso il compito del cartografo dagli studi etnografici, politici e sociali, contrariamente a quanto è avvenuto nell’opera di Strabone che scrisse i suoi 17 libri della geografia nel primo decennio a. C.

La schematizzazione cartografica di Strabone, pur distinguendo una geografia generale del mondo conosciuto da una corografia per rappresentare un particolare paese, contrasta con l’intenzione cartografica di Tolomeo che è quella di "localizzare" in modo scientifico, tralasciando consapevolmente notizie storiche. Nonostante ciò nel geografo moderno c’è questa tendenza nel riproporre una ricostruzione del passato. La realtà attuale risulta più accentuata  attraverso questa duplice indagine: storica nella prospettiva del tempo e geografica nella prospettiva dello spazio. È opinione di Strabone che un unico individuo non può assumersi la totalità dell’impresa cartografica, dai rilievi sul luogo al disegno finale: il cartografo deve basarsi su lavori precedenti completando e correggendo e, specialmente nella nostra epoca di rapide modificazioni dell’aspetto territoriale, aggiornando. È il procedimento messo in atto da Erastotene (II sec. a. C.), Ipparco (II sec. a. C.) e Tolomeo.

L’opera dei cartografi dell’antichità non ci è pervenuta, solo i loro nomi e l’accenno alla loro opera sono riportati da Strabone e da Agatèmero, un geografo greco dell’età imperiale romana, che ci informa sulla stesura della prima carta su tavoletta da parte del filosofo milesio Anassimandro (sec.VI a. C.). Esistevano nel mondo tra l’VIII e il V sec. a. C., epoca della colonizzazione greca sulle sponde del mar nero, della Sicilia e dell’Italia meridionale, degli itinerari marittimi o peripli, una sorta di conoscenze pratiche primitive, trasmesse oralmente o per iscritto, come l’osservazione della morfologia delle coste, la localizzazione delle foci dei fiumi, dei golfi, delle isole e delle città portuali e infine la distanza approssimativa, misurata in giorni di navigazione, da un luogo all’altro.

Tutto ciò che possiamo sapere o dedurre dagli antichi peripli è contenuto nel poemetto Ora Maritima di Rufo Festo Avieno (II metà del IV sec. d. C.), un complesso di estratti da scritti ed autori diversi scelti da una ricca e complessa tradizione storico-geografica e tradotti in versi latini da un modello greco perduto dell’età ellenistica. Lo stesso Avieno si vanta di avere attinto le notizie dalle opere perdute del punico Imilcone, di Euctemone, Damaste e Dioniso Periegeta, notizie che testimoniano gli intensi scambi commerciali dei mercanti fenici lungo le coste mediterranee e atlantiche spagnole fino alle Isole Britanniche donde si esportavano il piombo e lo stagno. Questi peripli furono le premesse per la spedizione durante la metà del V sec. a. C. del cartaginese Annone che si spinse lungo le coste atlantiche dell’Africa del Nord.

Il resoconto del viaggio fu tradotto dal punico in greco al principio del IV sec. a. C. ed è giunto fino a noi in un codice del IX sec. dei resoconti dei viaggi di esplorazione lungo le coste arabe, persiane e indiane dal 519 al 512 a. C. di Scilace di Carianda, un greco dell’Asia minore suddito di Dario I Re di Persia, non ci rimangono che frammenti e notizie tramandateci da Erodoto e da Antifonte (V sec.a. C.). Ricavato da un codice del XIII sec., pubblicato per la prima volta nel 1600 e attribuito a Scilace è il più antico periplo che si conosca e che descrive in senso orario le coste mediterranee dalle colonne d’Ercole (Gibilterra) al Ponto Euxino (Mar Nero) e alle coste settentrionali africane. La critica è oggi concorde nell’attribuire quest’opera, strettamente nautica e derivante da una secolare esperienza collettiva, chiamata Pseudoscilace, ad un anonimo compilatore vissuto nel II sec. a. C:. Comunque Strabone cita nella sua Geografia il Gés Okeanoû di Pitea (II metà del IV sec. a. C.), il Perìodos gês di Dicearco (seconda metà del IV sec. a. C:.), i Geographikà di Eratostene (III sec. a. C.), il Pròs Eratosthènen di Ipparco (II sec. a. C.), i Goegraphoùmena di Artemidoro (tra il II e il I sec. a. C.). Le opere di questi geografi, pur avendo un carattere più generale di quello strettamente nautico dei Peripli, attestano l’interesse del mondo antico per le terre cognite ed incognite. Gli antichi Peripli fornirono il materiale per la compilazione delle prime carte del IV sec. a. C. e la trascrizione dei dati di queste carte servirono ai geografi posteriori per la stesura delle loro opere. Lo stesso Tolomeo, come ricorda nell’introduzione della sua Geografia, dipese dall’opera geografica, oggi perduta, di Marino di Tiro (prima metà del II sec. d. C.), un commentario della carta geografica disegnata dall’autore e aggiornata fino all’età di Traiano.

Emilio Delfino